lunedì 16 febbraio 2009

Quell´ex di Lotta comunista, diviso tra calcio e impegno

Gabriele Amato, l´ultras investito, è un tifoso assiduo delle partite del Genoa. Una persona tranquilla: nessun Daspo e mai problemi con le forze dell´ordine. In piazza durante il G8. Il presidente del suo club: "Spesso con noi anche in trasferta"
di Gessi Adamoli
GENOVA. Il calcio e l´impegno sociale: le due grandi passioni di Gabriele Amato, 36 anni, che tutti a Campomorone, il piccolo comune alle porte di Genova, appena passato il passo dei Giovi, chiamavano Lele. Da ragazzo si divideva tra il Genoa e Lotta Comunista, passava le giornate all´oratorio di San Bernardo dove giocava a pallone come portiere o a fare politica. Era in piazza anche durante il G8, il suo impegno non si era annacquato con il passare degli anni. E nemmeno il tifo per il Genoa. «Seguiva molto spesso la squadra anche lontano da Genova. Quando era ragazzino veniva sempre con noi in pullman, praticamente in trasferta non mancava mai», ricorda Giamba Parodi, il presidente del Genoa Club Campomorone. Sempre presente. Anche nell´anno orribile della serie C.

«E figurarsi ora come se lo godeva il suo Genoa in lotta per la Champions´ League - dice sempre Parodi - E che nessuno dica che era una testa calda. Era un tifoso normalissimo, uno come tanti altri. Io non sono potuto andare allo stadio, ho visto la partita con la Fiorentina alla televisione, ma mi posso garantire che, anche se ho quasi 50 anni, ci sarei stato anch´io fuori dagli spogliatoi ad aspettare l´arbitro per dirgli qualcosa». Anche Leo Berogno, lui pure di Campomorone, presidente dell´associazione che raccoglie tutti i club genoani, parla di Lele come di un tifoso assolutamente tranquillo: «Una ragazzo d´oro e vi posso garantire che non si tratta delle solite frasi di circostanza».

Nessun Daspo, la misura di prevenzione che vieta l´ingresso alle manifestazioni sportive, mai nessun problema con le forze dell´ordine. Lo conoscono tutti a Campomorone, dov´era sempre residente, anche se ultimamente si vedeva meno perché si era trasferito per lavoro, impegnato con una cooperativa sociale a fare assistenza in una struttura per anziani. Lo conoscono tutti e tutti parlano di un ragazzo mite. Certo, con le sue idee ma senza voler prevaricare quelle degli altri. E non solo perché era piccolino e minuto, la violenza non rientra proprio nel suo modo di pensare.


Il tempo per il Genoa lo trovava sempre. Quando la squadra rossoblù aveva giocato a Torino contro la Juventus in anticipo di giovedì, era riuscito a farsi sostituire al lavoro e all´ultimo momento era partito anche lui.

Ora lotta tra la vita e la morte all´ospedale San Martino dopo che una ruota del pullman della Fiorentina gli è passata sopra sfondandogli la cassa toracica. Fuori dallo stanzino della rianimazione ci sono la madre Cesarina, che è stata colta da malore appena arrivata al Pronto Soccorso, il padre Nanni e la sorella Francesca. Ma anche tantissimi tifosi. Molti sono amici, altri semplici compagni di gradinata. «Non ci resta che pregare per lui», mormora distrutto Enrico Preziosi, il presidente della sua squadra del cuore che ha lasciato lo stadio solo dopo le 21.

E non si può non tornare indietro al dramma che il 29 gennaio del 1995 sconvolse un´altra famiglia. All´esterno dello stadio Ferraris Claudio Spagnolo, detto Spagna, venne ucciso dalla coltellata di un tifoso milanista, Simone Barbaglia. Ora, 14 anni dopo, i tifosi del Genoa sperano di non piangere un altro di loro.
(16 febbraio 2009)

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